mercoledì 29 febbraio 2012

OSCURITA’ / UN TEMPO PER RIFLETTERE

Se diamo credito alle date di realizzazione della serie di opere di Maurizio Barraco, dal titolo ”Tiempo negro”, e collochiamo queste stesse nel loro proprio tempo(1995), un tempo lontano dall’oggi, (considerando la rapidità con cui il medesimo scorre, e il fatto che noi appunto “non ce ne avvediamo”), sbagliamo.

Sbagliamo perché il tempo non esiste. E’ una mera finzione per l’artista. Per ogni artista che si rispetti e che si misura costantemente con l’indefinito. Con l’eterno periodico.

E lo è anche per noi senza che, magari, noi stessi arriviamo a rendercene conto.

Viviamo tutti , infatti,in giro sulla giostra dell’eterno presente e la condizione esistenziale dell’ieri, o quella di domani, può benissimo essere anche quella dell’oggi.

Ossia la storia si ripete. Ciclicamente .Alti, bassi. Positivo , negativo .Gioie, dolori. Bianco, nero.

Proprio come i tasti di un pianoforte, con cui il musicista prova comporre la “sua” musica lieta o triste a seconda delle circostanze.

E ci riferiamo tanto alla storia con la “s” maiuscola, la “grande” storia che, a balzelloni o con fatica, attraversiamo, quanto alla nostra stessa storia personale.

L’uomo , o meglio l’umano che è in noi, è sempre identico a se stesso.

Ovunque ci si provi a declinarlo.

Dai deserti inospitali alle cime nevose delle alte vette, dagli agglomerati urbani all’eremo solitario del mistico.

Tra le stesse tribù superstiti , che rischiano di perdere con la lingua anche la loro identità.

Barraco ,pittore palermitano, persona molto istintiva, che ama terribilmente la vita in ogni suo risvolto, che ha sempre prediletto e predilige i colori forti come il rosso, l’arancione, il giallo, e ultimamente il viola , in questi suoi lavori del ‘95 ha scelto di utilizzare le diverse tonalità di marrone, dal più acceso al più sfumato fino ad arrivare al nero.

E ciò che viene rappresentato nella serie di “Tiempo negro” altro non sono che superfici tormentate,sbrecciate, graffiate.

Sono muri o pezzi di muro appena intonacati. O dai quali , forse, il vecchio intonaco sta cadendo per fare spazio al “nuovo”, alla “diversità”.

La scoperta di quel “diverso”, che talora può spaventare, nell’attimo stesso in cui ti trovi con esso a confrontarti.

Lenzuola lise appese ad un immaginario filo. Pagine di vecchi giornali stropicciate e incollate alle pareti. Un orologio, che non segna più il tempo.

Vecchia soffitta di casa o spazio da rigattiere?

Oppure quei muri, quelle pareti scalfite, le lenzuola, i giornali strappati, l’orologio fermo nel tempo, altro non sono che il nostro “io”?

Il nostro “io” più recondito, quello vero, che sceglie un’oscurità atemporale per riflettersi e riflettere. Quasi un bisogno estremo di ritorno all’utero materno.

In quella oscurità nessuno può mentire a se stesso. Ed è per questo che i dipinti di Barraco, partoriti nella solitudine, nel silenzio di un’oscurità cercata e voluta, strappano provocazioni, suscitano nell’osservatore sempre forti emozioni, ti fanno inevitabilmente mettere in discussione, quale che sia, il contenuto o il non-contenuto ritratto sulla tela.

Sono immagini sincere. Disvelate.

Abbiamo detto inizialmente di ritorno ciclico del nostro “io”.

Chi può dire di non aver avvertito mai il bisogno d’interrogarsi nei momenti bui o in quelli forse meno ombrosi della propria esistenza?

E chi può affermare che questi momenti non si siano ,a tratti, più volte ripresentati nel lungo arco temporale della propria vita?

Vita che è briciola d’eternità.

Il poeta esternalizza e lo fa con il sapiente e ricercato uso delle parole, il pittore invece crea, ricorrendo ai suoi colori e alle forme più svariate, che nascono da quell’inconscio con cui deve fare i conti.

Ma la proposta e il messaggio sono gli stessi. E vanno dritti a colpire colui che lo deve decodificare.

E questo poi, in definitiva, è il compito dell’Arte quando è “vera” arte.

Il coraggio cioè di mettere a nudo i nervi scoperti. Costasse anche sofferenza e dolore nel riflettersi allo specchio dell’essere.

Maurizio Barraco nel suo lavoro, da artista autentico qual è, lo ha sempre fatto e continua a farlo.

Senza timori .Neanche di eventuali spocchiose o codine censure.

E questo è un suo grande pregio, quali che siano le sue scelte stilistiche e i contenuti, cui si applica o le forme cui sente di dover dare vita.

Egli è molto attratto dal sociale. Un sociale che però è anche analisi introspettiva dei soggetti che ritrae. Un sociale concettuale.

E qui ricordiamo le figure femminili di ogni luogo, che l’artista ha disegnato o dipinto nel corso dei suoi viaggi in America Latina, terra che predilige per le sue lontane origini argentine.

Ma anche le donne incontrate casualmente nelle strade della sua città.

Le “donne” di Barraco, le ultime sono quelle della serie “viola”, raccontano tutte la loro vera “storia” , attraverso il tratto e il colore, che finiscono col rimandare al significato etico del loro e del nostro vivere

Esse altro non sono che ambiguità e menzogne smascherate.

Le stesse con le quali ci confrontiamo, a volte,quando ne siamo capaci, nell’oscurità della nostra “soffitta” .

Senza mentirci.

Marianna Micheluzzi

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